5.6.09

London in the snow

It'll work, if God, wind, leads, ice, snow, and all the hells of this damned frozen land are willing.

Matthew Henson


Prendo in prestito le parole di un temerario esploratore canadese, forse esagerando un po’. Certo neve, vento, ghiaccio e gelo non mancano, novità, curiosità, conquista nemmeno, sicché mi perdoneranno se mi permetto di esagerare un po’. Ammetto anche di non riuscire a trovare una collocazione soddisfacente per le punteggiatura dell'ultima frase: datele un po' l'intonazione che credete.

Potrei presentare i miei primi mesi a London dando un nome a tutte le strade ed una descrizione più o meno lunga di quel che ho visto. Potrei raccontare di incroci per i quali non passerete, o di incontri che non farete. Mi sono chiesta se queste informazioni vi servano, e mi sono risposta di no (la mia proverbiale autoreferenzialita` e` alle stelle). In fondo, mi volete bene anche senza sapere. In fondo, la maggior parte di queste banalita` me la sono gia` dimenticata. Quello che e` rimasto e` una sensazione di London e della neve, ed e` di questo che provero` a scrivere. Per tutto il resto, rimando ai testi specialistici. Riferimento indiscusso: “Zanna Bianca”.

C’è una parola per indicare un rifugio, un tetto sotto il quale trovare riparo, un angolo caldo e poco esposto. Qui lo chiamano ”shelter”.

C’è un gioco che ho imparato dalla mia mamma, è lei che mi ha contagiato con l’amore per le parole. Deformazione professionale, probabilmente. Ad ogni modo, funziona così: si prende una parola e si cancellano le lettere. Mentre le vocali e le consonanti saltano, ad una ad una, si allontana anche il significato e si perdono tutti quei concetti che, per educazione o convenzione, vi si associano. La parola è diventata leggera, evanescente ed è pronta per trasformarsi in musica. Le lettere non sono più caratteri ordinati, ma note della fantasia e vibrazioni dell’aria. Non si tratta più di leggere, ma di ascoltare. La vista è un senso prepotente, che aggredisce le cose. L’udito, invece, è un tipo delicato, di quelli che aspettano pazientemente ed accettano di farsi sorprendere.

Lo scopo del gioco, allora, è di prendere la parola “shelter” e di sentirla, prestando attenzione a quello che ti vuole dire e dimenticando ciò che vorresti farle significare tu. Se le regole sono chiare, possiamo iniziare.

Io sulla s e la h scivolo sempre. Provo a puntare i piedi, ma loro si spalmano lisce e ed hanno sempre la meglio. Scivolo goffamente e solo una e seguita dalla l mi può fermare. La e ha la profondità di un piccolo fosso, una e accentata grave, senza dubbio. La l si alza come una barriera, una parete da scalare. Per pronunciarla, bisogna sollevare un po’ la lingua e spingerla contro l’arcata superiore i denti. Insomma, la l è da superare. Arrivati in cima, si casca di nuovo con la t. Non a caso tonfo inizia per t, ed anche terra. Sulla t ci si ferma e ci si siede un attimo, il peggio è passato. Di qui in avanti, come direbbe qualcuno, è tutto in discesa. In effetti, la e seguita dalla r disegna una curva convessa dalla quale gettarsi a tutta velocità. Quante er ci sono sul roller coaster, non per niente?

A questo punto, shelter dovrebbe scriversi più o meno così:



Se poi al disegno di questa linea buffa si aggiunge anche una piccola personcina, ecco rappresentato il mio cammino attraverso i primi, glaciali mesi di Canada: scivolando su marciapiedi di neve semi-perenne, sprofondando qualche volta nei piccoli sconforti che si acquistano con il biglietto di andata per un mondo nuovo, scalando le difficoltà come si può, sedendosi un attimo a riposare dopo la tempesta, scorrazzando con ritrovato sorriso attraverso le scoperte di ogni giorno.

Un sacco di parole che iniziano per s, oggi mi sento sibilante.

30.5.09

Trova le differenze

London ON si trova a sud-ovest di Paris, che è a sud-est di Hanover. È anche a nord-est di Florence ed a sud-est di Exeter, non lontano da Waterloo e da Windsor. E poi York, Kingston, Richmond, ma anche Sparta e Delhi.

Se guardi a destra ti ritrovi a Woodstock. Se ti volti a sinistra ci sono le meno elettrizzanti Petrolia ed Oil Springs. C’è anche il forte sospetto che questi nomi peciosi siano saltati fuori dalle lettere infide di uno scarabeo malamente sabotato per riportarmi al mio appiccicoso destino.


Guardo la cartina e mi torna in mente un gioco in scatola ormai fuori moda, che forse si chiama Gira l’Europa. Non ne ho mai colto il principio, sicchè non ho mai vinto. Ricordo che era ben più complicato del mio amatissimo gioco dell’oca e che mi annoiava in fretta. Non che ne possedessi una scatola, le mie amichette lo avevano ed ogni tanto mi invitavano a giocare.


“Facciamo il gioco dei viaggi?”

“Sì, ma chi lo prende? Sta lassù”

“Lo prendo io” – “OK, prendilo tu”.

Effettivamente la scatola sta un po’ in alto, ma dovrei arrivarci: sono sempre stata la più grande della classe. Se mi alzo in punta di piedi ci arrivo. No, se salto ci arrivo. Se salto e casco? Se non salto non ci arrivo. Dai, salto. BUM. Ecco, lo sapevo, non dovevo saltare.


Io la scatola l’ho presa. Solo che non l’ho afferrata proprio bene, perciò l’ho anche lasciata andare e si è rovesciata per terra. Adesso le carte sono tutte mescolate e la busta con le sferette colorate, quelle con cui si indicano le mete raggiunte, è esplosa proiettando pezzi dappertutto. I più sono andati ad infilarsi sotto il mobile, i più gentili sono rimasti nei paraggi.


Tocca rimettere insieme tutto ora. Bisogna aprire il tabellone della scacchiera, quello con l’enorme carta del mondo disegnata sopra, ed infilzare di nuovo le puntine delle diverse città. Con un po’ di pazienza bisogna ricostruire un sistema di coordinate e collocarci qualche punto di riferimento. In fondo, sei stata tu a buttar per aria tutto quanto. In fondo, non capita tutti i giorni di poter ridisegnare la mappa del proprio mondo.


Domenica 11 Gennaio 2009, London ON: disegno la scacchiera del mio Nuovo Mondo, armata di una scatola di pastelli un po’ speciali. Verde come lo zelo paziente dell’esploratore, giallo come l’entusiasmo ingenuo e curioso del turista, blu come la fantasia girovaga e leggera. Marrone come la concretezza della terra, grigio come la malinconia della distanza, bianco come il silenzio della neve. E infine rosso, come la determinazione testarda, la curiosità caparbia, l’impazienza cocciuta. Come il colore della farfalla.


Dato che siamo in tema di giochi fuori moda, un classico dell’enigmistica dei migliori baretti di paese. Le seguenti mappe differiscono per 27 piccoli particolari, quali?




27.5.09

Bus 10: Wonderland

C'e` una strada a London che si chiama Wonderland Road, che corre da Nord verso Sud e qualche volta fa anche il giro contrario, dal basso in su, perche` non e` detto che le linee si traccino in un senso solo.
C'e` una strada a London che divide la citta` in due fette: a sinistra, uno spicchio sottile di case che si chiama West London, a destra una sorta di bolla gigante che si potrebbe chiamare “tutto il resto di London”.
C'e` un autobus a London che percorre quella strada, e` il numero 10, destinazione
Wonderland. Ed e` quello che passa vicino alla casetta fortificata nella neve dove mi hanno lasciato ieri.

Sabato 10 Gennaio 2009, London ON: una giacca enorme e super imbottita, stivali impermeabili in materiale ipertecnologico, cappello di lana con enorme pon-pon rosso, guanti, sciarpa, zaino, buona volonta` ed ingiustificato ottimismo salgono su un autobus a destinazione Wonderland.

Il Paese delle Meraviglie ha un indirizzo e questo delude un po'. Potrebbe orbitare intorno alla Terra, oppure nuotare tra le nuvole. A me piaceva pensare che, il giorno della deriva dei continenti, si fosse staccato dalle zolle adiacenti per partirsene all'avventura, lungo una rotta che nessun esploratore avesse mai disegnato.
Il Paese delle Meraviglie ha un indirizzo, un aeroporto, una stazione ferroviaria, un capolinea degli autobus ed una cintura di arterie autostradali. Per arrivarci, in fondo, occorre solo un biglietto. Per partire ci vuole coraggio. Per restare anche.
Il Paese delle Meraviglie in fondo e` un paese come tanti altri, un punto sulla carta del mondo. Roccia e terra lo collegano al centro del pianeta; asfalto e ferro lo collegano al resto del pianeta.
Il Paese delle Meraviglie ha un indirizzo e questo inganna un po'. Perche` se il Paese ha un indirizzo , una latitudine ed una longitudine che lo inchiodano in un punto fisso all'interno di un sistema di coordinate, allora la magia dov'e`?
La risposta non e` poi cosi` complessa, ma e` di quelle che ognuno si deve cercare. Inutile addurre ragionamenti e congetture a sostegno della propria tesi, perche` il dimostrabile e` anche universale, almeno in teoria. Qui si tratta piuttosto di procedere come si puo`, per il contagio di una emozione o per l'istinto di un presentimento. Soprattutto, si tratta di puntare ad una “verita` secondo me”.

La verita` secondo me e` che il Paese ha un indirizzo, ma la Meraviglia no. Che l'avventura non corre per le rapide del Rio delle Amazzoni, ma scala con perseveranza i sentieri della mente, si perde nelle complicazioni della personalita`, si punge con le asperita` del carattere, ma soprattutto non arriva mai da nessuna parte. Il successo non e` per forza un ideale. Soprattutto, non e` un ideale universale, ma e` piuttosto una di quelle “verita` secondo me”, sicche` almeno nella meraviglia io voglio essere inconcludente. Voglio inseguire il traguardo senza raggiungerlo, perche` in una corsa tutti guardano fissi la linea di arrivo, dimenticandosi che e` per prima cosa occorre trovare quella di partenza. E oltrepassarla.

Insomma, Paese delle Meraviglie, ti vengo incontro e per farlo prendo l'autobus. Provaci tu ad aspettarlo a -20C, quando il vento ti avvolge di fiocchi di neve ghiacciata, e poi mi dici se non e` un'avventura.

11.5.09

London landing

Venerdi` 09 Gennaio 2009, aeroporto di Francoforte: questo aereo proprio non si decide a decollare. Una condotta gelata per il freddo non consente il rifornimento d’acqua all’aeromobile, o almeno cosi` dicono (un presagio di cio` che mi avrebbe atteso, riconosciuto solo a posteriori). Nell’attesa, gli ultimi messaggi sul cellulare ed un po’ di musica per ingannare il tempo.

Forse l’attesa e` piu` esistenziale che contingente, forse questo momento arriva nella vita di tutti. Difficile descriverlo compiutamente, dato che l’istante, quasi per definizione, non si lascia acchiappare, sicche` risulta difficile farlo a pezzi, analizzarlo e poi rimettere insieme il tutto, una volta afferrato il funzionamento. Per deformazione professionale sarei tentata di stilare un elenco di cause e conseguenze e relazioni che le colleghino. Darei poi tutto in pasto ad un marchingegno diabolico che, processati gli ingredienti per un tempo spropositato, mi restituisca la ricetta esemplare, perfetta, coerente, fuori luogo e soprattutto fuori tempo massimo . L’iperrazionalita` e` una qualita` postuma.

Ad ogni modo, torniamo al sedile di un aereo di cui non ricordo il nome ed al famoso istante, quello in cui, subito prima di partire, ti chiedi: “Ma io che sto facendo?”. E poco importa se seguira` il decollo di un aereo, o il fischio di un treno, o l’accensione di un auto, perfino il primo passo di una corsa. Partenza e distanza sono forse sinonimi, ma non necessariamente in un libro di geografia. La pedina aspetta impaziente, nella speranza che il lancio del dado restituisca un bel sei, di quelli che schizzi subito davanti a tutti gli altri sulla scacchiera. Che sia davvero un sei, oppure no, ad ogni modo ti muoverai. Che sia un sei, oppure no, l’aereo ha acceso i motori.

Venerdi` 09 Gennaio 2009, aeroporto di Toronto: anche questo aereo proprio non si decide a decollare. Questa volta aspettiamo il pilota, che deve ancora arrivare da chissa` quale altra rotta. L’attesa, nel frattempo, si e` fatta aspettativa e lo sguardo vaga curioso alla ricerca di qualche scorcio di nuovo. Anche le monete con cui ho acquistato un succo di frutta sono interessanti, perche` la fortuna del principiante e` piu` che altro sconsiderato ottimismo.

Certo che fa freddino in questa sala d’attesa. In ogni caso, il pilota arriva tra poco. Forse fa quasi freddo, pero` hanno appena ripetuto che il pilota arriva tra poco. Forse fa freddo, il pilota potrebbe anche accelerare il passo. Eccolo che arriva, iniziavo ad avere freddo.

Cinture di sicurezza allacciate ed eliche accese. Ebbene si`, eliche, perche` il bolide che porta da Toronto a London ha forse dieci sedili. Il viaggio dura solo una mezz’ora, percio` non prendiamo neppure troppa quota e posso godermi il paesaggio: una distesa di azzurro che dovrebbe essere il lago Ontario, poi una distesa di bianco che potrebbe essere qualunque cosa. Da quassu` pare una enorme pagina immacolata, che attende solo di essere scritta nei caratteri fitti e indaffarati dei miei passi. Mi sento come l’amichetta di Peter Pan, quella che traccia la strada verso le case dei bimbi sperduti sulla mappa di capitan Uncino. Mi sento anche abbastanza stupida per averlo pensato sul serio. In ogni caso, e` un pensiero che dura il tempo di un istante, perche` stiamo gia` atterrando.

Attraverso i controlli doganali, attraverso la porta scorrevole all’ingresso dell’aeroporto, attraverso l’aria gelida fino alla macchina, attraverso la citta` da est verso ovest, attraverso un muro di neve alto quasi un metro, fortificazione del vialetto di casa...finalmente ci siamo.

Venerdi` 09 Gennaio 2009, London ON: ho scritto la mia prima parola nella neve canadese. Le mie impronte, con l’aiuto delle rotelle delle valigie, hanno tracciato un bizzarro ideogramma di terra bagnata e sale antigelo in quel bianco che guardavo dall’alto. Nella lingua dei passi di Emma questo significa “inizio”.

Ogni tanto torno a riguardarlo: ora e` un disegno di fili d’erba non ancora del tutto scongelati. Nella lingua dei passi di Emma significa sempre “inizio”. Finche` sapro` leggerlo, non avro` perso me stessa. Quando saprai leggerlo, mi avrai trovato. Probabilmente ne sei gia` capace, ma ancora non ne sei consapevole.

Venerdi` 09 Gennaio 2009, London ON: inizio.