27.4.09

Seregn de la Memoria

E` ancora buio quando esco dalla porta di casa. Una mattina piuttosto gelida ed ancora addormentata, non saranno neppure le 6:00. Saluto Seregno mentre ancora dorme, guardo dal finestrino e cerco di mandare a mente ogni dettaglio, mentre la macchina corre verso l’aeroporto.

Inizi a vedere la via di casa solo quando stai per lasciarla. Prendi lo stesso treno ogni mattina, per anni, sempre quello stesso treno e sempre quel paesaggio sullo sfondo. Per anni, non resta che uno sfondo, scenografia sfuocata del tuo palcoscenico quotidiano. Non provi nemmeno a metterlo a fuoco, tanto sai che sara` li` anche domani, ed anche il giorno dopo. Qualche volta persino lamenti quella abitudinarieta` che e` allo stesso tempo prigione e sicurezza.

Tra un mese partirai ed i colori della natura iniziano ad affiorare.
Tra due settimane partirai ed i contorni delle case disegnano una linea che demarca i confini del cielo.
Tra una settimana partirai ed intravedi le figure di mille vite che si agitano dietro altrettante finestre ritagliate in quelle case.
Tra tre giorni partirai e per la prima volta senti il rumore di quel treno. No, non e` lo stridio dei freni che ti ha sempre annoiato. Non e` neppure il buongiorno chiassoso dei pendolari, ne` la suoneria imbarazzante del tuo vicino. E` il suono della ruota che scivola sulla rotaia, macinando i kilometri. E` una musica di ferro ed elettricita` che canta la distanza scandita dalle stazioni.
Tra due giorni partirai e ti metti a contare i passi che separano la casa dalla stazione, la stazione dall’Universita`, ma anche la via del ritorno, che sia forse diversa? Poggi bene il piede a terra, misurando il marciapiede, la strada, l’attraversamento pedonale. Ti concentri sulla sensazione che la terra imprime sulla pianta del piede, perche` ti sostiene e perche` e` tua.
Domani parti e ti chiedi perche`, come al solito, hai aspettato che fosse tardi per dire “Ti amo”, fosse anche solo alla tua citta`.

La via di casa non si impara, ne` si trova. La strada di casa si riconosce, si sente vibrare in tutte le corde dell’organismo.

" È stato il giorno in cui ho capito che c'era tutta un'intera vita dietro ogni cosa e una incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c'era motivo di avere paura, mai. Vederla sul video è povera cosa lo so, ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c'è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla. Il mio cuore sta per flanare..."
American Beauty, 1999



25.4.09

Resistere, resistere, resistere

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. »

(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 Gennaio 1955)



E` un pomeriggio di Aprile assolato e quasi caldo, dall’altra parte del mondo. E` uno di quei pomeriggi sonnolenti, nei quali ti stendi sull’erba e ti lasci li`. A Nord si intravede un presagio di temporale, ma sembra ancora tanto lontano; per ora restero` qui. Gli occhi chiusi al sole, una mente ballerina che, sara` il vento, sara` la primavera, cerca nuove forme tra le nuvole. Il pensiero, nel frattempo, scivola via ed in silenzio si incammina verso di te.

Cara Milano, tacchi alti ed un velo di trucco, ti porto fuori stasera.

Settimana del design, ora dell’aperitivo, stagione della Scala. Caffe` a Brera, passeggiata sui Navigli, birra alle Colonne. Quadriportico di Sant’Ambrogio e torre futuristica dell’Expo.

Citta` della moda, Milano da bere, con quanti nomi ti posso chiamare? E chissa` se ti volti ancora, quando ti dico: “Citta` di Milano, Medaglia d’Oro della Resistenza”.

Cara Milano, dai Bastioni di Porta Venezia fino alla piazza del Duomo, il mio pensiero era li`.
Viva il 25 Aprile, viva la Resistenza.

21.4.09

Le regole del gioco

"I keep a diary in order to enter the wonderful secrets of my life.

If I didn’t write them down, I should probably forget all about them".


O.Wilde, The Importance of Being Earnest, act II



Una dichiarazione d'intenti e` d'obbligo quando ci si imbarca in una nuova impresa, percio` mantengo fede alla tradizione anche nel piccolo del mio blog. Per darmi ancora piu` importanza, prendo addirittura in prestito le parole di qualcuno con velleita` letterarie decisamente piu` giustificabili delle mie e confeziono una casella di inizio con tanto di citazione incastonata.

In buona sostanza, il mio racconto ha piu` della pretesa che dell'ambizione e si ripromette un aggiornamento, piu` o meno regolare, circa la mia avventura nella terra dello sciroppo d'acero. Rispetto alla povera Cecily Cardew, alla quale rubo le intenzioni, godo di un vantaggio schiacciante, dato che non debbo neppure cercare un editore per il mio libro dei segreti: il web offre una chance a tutti. Sulla fantastica democrazia egualitaria del blog si potrebbe discutere, dato che la necessita` di comunicare dovrebbe restare, a mio avviso, piuttosto una esigenza che una incombenza. Al di la` della scontata rima, e` indubbio che nell' era della comunicazione tutti si sentano un po' in dovere di dire qualcosa, con uscite talvolta infelici. La popolazione italiana dovrebbe conoscere bene il fenomeno, che ha esemplarmente stigmatizzato in una figura politica di rilievo.

Ad ogni modo, rimettendo i piedi per terra, io mi ripropongo solo un resoconto, attraverso parole ed immagini, della mia vita canadese. Avanzo la pretesa di raccontare un paese grande e grandioso attraverso la lente dei miei occhi ed occhiali (ahime`, altra esigenza esistenziale della succitata scuola di ingegneria!), percio` con tutte le deformazioni che competono ad un punto di vista tanto ristretto. Ci sara` sicuramente molto piu` di Emma che di Canada in queste righe, pero` e` anche vero che in qualita` di miei amichetti dovreste trovare la lettura spassosa.

Faccio subito anche tutte le scuse del caso, in modo da sistemare sul nascere eventuali incidenti diplomatici. Per prima cosa, direi scuse per il ritardo, visto che mi ci sono voluti quasi quattro mesi per mettere insieme questa pagina. A seguire, scuse per la prolissita`, ma la scrittura artistica stuzzica le corde del mio egocentrismo e si amplifica nella malinconia della lontananza. Per finire, scuse per il mio terribile temperamento, che emergera` in tinte forti e rigorosamente “politically scorrect”. In fondo, sono un essere pacifico...diciamo pacificamente agguerrito, dai.

In conclusione, un augurio per una buona lettura della mia “quick succession of busy nothings”, come direbbe la dolce Fanny Price di “Mansfield Park”...perche` oggi mi sento troppo intellettuale ; ) .

La storia di un gioco

In questi mesi canadesi il mio gioco preferito e` stato correre: una corsa che e` iniziata come una staffetta tra una miriade di impegni, che si e` trasformata a tratti in maratona quasi panoramica alla scoperta di questo paese glaciale e che ormai si e` assestata sul ritmo del salutare jogging quotidiano. Si potrebbe tracciare una linea molto lunga e contorta, che vada dalla spensieratezza del nascondino all'urgenza della fuga, e cercare di collocare la mia corsa ad una qualche altezza di quella stessa linea. La faccenda mi pare pero` ancora troppo complicata, e neppure troppo interessante, percio` per ora non lo faro`.

Nel piu` classico dei giochi, in quel giro dell'oca che tutti abbiamo fatto almeno una volta, io sono la pedina e procedo saltellando tra una casella e l'altra, guardando avanti, ma dovendo tornare indietro a volte, quando il lancio del dado non e` stato troppo fortunato. Non sono sola sulla scacchiera: qualche collega pedina e` rimasta indietro, altre mi attendono qualche casella piu` avanti, qualcuna mi ha incrociato piu` volte, nel mio salterellare irregolare tra una posizione e l'altra. Non sono sola, ma corro da sola, dato che posso tirare il dado solo per me.

Raccontato cosi`, pare un gioco meccanico e quasi scontato; in realta` non credo che lo sia. Mi sono scelta una pedina, ho preso la farfalla rossa perche` mi piace, e l'ho messa sulla scacchiera che mi sono scelta, o che forse mi sono andata a cercare. Sono io che tiro il dado e decido come muovermi. Qualche volta casco nel posto sbagliato e la scacchiera mi obbliga a cambiare di percorso, ma del resto ho deciso di raccontare di un gioco, ed ogni gioco che si rispetti ha le sue regole. Dopo cinque anni di scuola di ingegneria, peraltro, l'elenco delle regole e` una esigenza esistenziale.

Si potrebbe ancora argomentare che la pedina e` sola, dunque triste. In realta`, la solitudine della pedina non e` essere sola, quanto piuttosto muoversi da sola, e la differenza si spiega da se`. Se la pedina potesse mangiarsi quella di colore opposto, oppure allearsi con quella del suo stesso per formare una mega pedina piu` forte, allora sarebbe una dama e sarebbe il momento di cambiare: scacchiera, regole, giocatrice. Non penso che sia ancora arrivato quel momento, percio` mi tengo stretto il mio giro dell'oca. Circa il mio amore per l'oca, poi, la mia famiglia potrebbe testimoniare di una affinita` elettiva manifesta fin dai miei primi passi.

Questa sera ho tirato il dado e sono finita qui, nella casella in cui bisogna fermarsi e saltare il turno. Ne approfittero` per provare ad acchiappare qualcuno dei tanti avvenimenti che si sono susseguiti negli ultimi mesi, cerchero` di mettere un po' di ordine tra i ricordi e daro` a questo ordine la forma di un testo. Per raccontarla con le parole di quel giro dell'oca al quale ho deciso di giocare, la scacchiera si chiama Canada e per ora conosco solo qualche tassello, che provero` a disegnare in questa pagina virtuale ed ancora esteticamente discutibile.

Avevo detto che la pedina si muove da sola, ma se vorrete vi portero` con me nel giro. Del resto, sono io che faccio le regole, e quindi le eccezioni. E se siete finiti su questa pagina, significa che io vorrei portarvi con me.

Pronti? Via.